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23 aprile 2010

Borgo, Prati, Trionfale: in cammino nella storia (a cura del dott. Emanuele Mariani)

Immaginate prati, pascoli e casali dislocati in aperta campagna, tra fienili, rimesse e stazioni di posta, come ancora si vedono oggi nei film western… Questo sarebbe stato il paesaggio che un viaggiatore di fine ‘800 avrebbe potuto ammirare scendendo giù da Monte Mario, lungo la via Trionfale, percorrendo gli antichi sentieri della via Francigena, strada che conduceva ai piedi della Basilica di San Pietro. Proprio per questo, Monte Mario venne chiamato dai pellegrini “Mons Gaudii”, per la gioia di scorgere finalmente, dall’alto, la Città Eterna, tempio della cristianità.
Ancora oggi, cammino spesso a piedi per i quartieri dove sono nato e cresciuto e precisamente Borgo, Prati, Trionfale, Monte Mario e percorro anch’io le strade dei pellegrini che hanno visitato e tuttora visitano la tomba di San Pietro, principe degli Apostoli.
Penso che si tratti di luoghi storicamente importanti e di grande attrazione tanto per noi “popolani romani”, quanto, ed a maggior ragione, per i turisti. Un territorio, infatti, vive di ricordi, di gesti ripetuti nel tempo, di ammirazione per i grandi personaggi che lo hanno caratterizzato e per le loro gesta che la memoria collettiva di alcuni saggi riesce a tramandare di generazione in generazione. Anche per questo motivo nel Rione Borgo, in Prati e nel quartiere Trionfale e a Monte Mario si respira un’aria di antico e di moderno allo stesso tempo.
La mia passeggiata comincia dal Rione Borgo, il quale sorge nella zona compresa tra il Gianicolo, il Vaticano e Monte Mario. E’ particolarmente suggestivo attraversare questi luoghi e pensare che, fin da tempi antichi, qui vivevano gli Etruschi.
L’esigenza di fortificare il Borgo fu dettata dalla necessità di proteggere la Basilica di San Pietro, che l’imperatore Costantino, dopo l’anno 313 d.C., volle far costruire sbancando gran parte del Colle Vaticano. Due secoli dopo, il re goto Totila fece costruire un muro per difendere le sue guarnigioni dall’attacco imminente di Belisario; del resto, il nome di Borgo trae origine da Burg, termine di derivazione germanica. Questo terrapieno fortificato costituì il primo mattone, per così dire, del Passetto o Corridore di Borgo, tanto che i resti del muro di Totila sono ancora oggi visibili. Il Passetto, modificato e ristrutturato nel corso dei secoli, collegato a Castel Sant’Angelo fin dal XIII secolo per opera di papa Nicolò III, costituisce il più lungo tratto superstite (800 metri) delle mura difensive di Borgo. Anche se il Passetto vide la sua prima forma embrionale con il re barbaro Totila, in realtà, furono Carlo Magno e poi Leone III a far costruire un muro, a protezione della basilica di San Pietro, dal pericolo delle incursioni e devastazioni, ma i Romani, nel corso di una violenta ribellione, successiva alla morte del Pontefice, lo abbatterono.
Papa Leone IV, però, dopo l’invasione saracena dell’846 d.C., non solo ripristinò l’antico muro, ma avviò i lavori di quelle che sarebbero divenute le prime fortificazioni delimitanti la Città del Vaticano, quelle della città leonina. Partivano da Castel Sant’Angelo, cingendo la Basilica e, arrivando alla sommità del Colle Vaticano, discendevano fino all’attuale Porta Cavalleggeri che prende il nome dalla sua vicinanza agli alloggi della Guardia pontificia, ossia la Cavalleria leggera. A quei tempi, si potevano distinguere 44 torri e varie porte tra cui, in particolare, quella di San Pellegrino, una tra le più vicine alla Basilica di S. Pietro.
Oggi percorro la strada che proviene da Nord, la Trionfale, coincidente con la via Francigena e che risale Monte Mario, parte culminante del dorso gianicolense. Alto 139 metri ed un tempo denominato Clivus Cinnae, Monte Mario sembra derivi questo nome da quando Lucio Cornelio Cinna lo attraversò per iniziare le vendette insieme con il console Mario. Secondo altre tradizioni, invece, potrebbe anche così chiamarsi da Mons Malus come indicato da Dante nel canto XV del Paradiso oppure da Mons Gaudii per la gioia che i pellegrini provavano vedendo da quella altura la città Eterna oppure, da ultimo, dal nobile Mario Mellini, proprietario di una villa trasformata in epoca recente (1935) in sede dell’Osservatorio Astronomico e Meteorologico. Il monte si chiamò anche Thriumphalis poiché gli Imperatori vincitori si sarebbero cinti del lauro in Campidoglio, seguendo appunto la via Trionfale.
Quest’ultima attraversava il fossato di un torrente (l’altro proveniva dai Monti di Creta e passava più a Nord ed era chiamato “Sposatella” o della “Balduina”) denominato dell’”Acqua Sposata” il quale formava un piccolo lago in corrispondenza dell’odierna scalinata nei pressi dei Musei Vaticani, tra la fine di via Leone IV e l’inizio di via Candia. La via scavalcava tale corso d’acqua tramite un ponticello, dove i Re, che venivano a farsi incoronare Imperatori dal Papa, prestavano giuramento ai dignitari ecclesiastici ed ai rappresentanti del popolo romano, prima di entrare in città, pronunciavano queste parole: “Io Re, futuro Imperatore, giuro che lascerò ai Romani le loro buone consuetudini”.
Un ramo della via Francigena coincideva poi con l’attuale via del Pellegrino in Vaticano (sede, tra l’altro, dell’Osservatore Romano) e passava attraverso l’antica Porta Viridaria detta anche di San Pellegrino o di San Pietro, mentre un altro ramo si dirigeva presso le antiche Fosse di Castello, passando per la Posterula di Castel Sant’Angelo (poi denominata Porta Castello). Queste strade, come il territorio circostante, sono infatti visibili nelle più celebri mappe della Roma rinascimentale e dell’età moderna, come quelle del Tempesta, del Falda e del Nolli, oltre che nelle incisioni del Vasi, solo per citare le più note.
Attraverso via di Porta Angelica e lascio alle mie spalle il Rione Borgo, là dove un tempo sorgeva la chiesa di S. Maria delle Grazie, poi demolita nel 1936 e costruita ex novo, con lo stesso nome, nel 1941 nell’attuale piazza omonima, mentre ora costeggio le mura vaticane, all’altezza del viale dei Bastioni di Michelangelo. Qui c’è stata da poco l’inaugurazione e benedizione della nuova Porta di Santa Rosa che dal Vaticano immette nel predetto viale verso Piazza Risorgimento. L’ingresso è stato realizzato sfruttando un varco preesistente del 1929, in un tratto delle mura, costruite dal Laparelli nel XVI secolo, che originariamente collegavano il Bastione del Belvedere con Castel Sant’Angelo.
Giungo adesso all’incrocio tra viale Vaticano e via Leone IV, dove anticamente esisteva una piccola cappella, quella di S. Giovanni degli Spinelli, ricca famiglia originaria di Narni. Tommaso Spinelli, banchiere in Firenze ed in altre località, ospitò persino Federico III, re di Germania, che si dirigeva a Roma per farsi incoronare Imperatore dal Papa. La famiglia Spinelli possedeva orti, vigneti e fondi agricoli, nella vasta area tra le mura vaticane e le pendici di Monte Mario. Nel 1849, e definitivamente alla fine dell’800 con la costruzione del quartiere Trionfale, la chiesetta (costruita nel XVI secolo dal canonico della Basilica di San Pietro, Francesco Spinelli) con annessa osteria, sarà demolita e ciò farà perdere un suggestivo tratto agreste e bucolico di Roma nelle vicinanze del Vaticano.
Ora supero via Leone IV e già vedo il quartiere Trionfale, dove una volta, vi erano insediamenti di numerose fabbriche di artigiani e di operai al servizio dei Papi che si sono succeduti nei secoli. Penso a questa fioritura di personaggi particolari e a volte bizzarri, rappresentati dagli artigiani ed artisti che vivevano in Borgo, che ha finito con il creare delle leggende popolari tramandate fino ai nostri giorni. Basti pensare che lo stesso Michelangelo Buonarroti (il quale ha dato il nome al citato viale dei Bastioni) ha soggiornato nelle vicinanze di Borgo, in un casale ancora esistente in piazzale Gregorio VII. Infatti, allorquando fu chiamato a Roma per la costruzione della Basilica di San Pietro, pare abbia dimorato e stabilito la sua attività in una bottega nei pressi dell’attuale via di Porta Fabbrica, pertugio che fu aperto sulle cinquecentesche mura vaticane per favorire il passaggio dei mattoni delle fornaci fino all’interno di Borgo e dove non si pagavano dazi “ad usum fabricae” da cui il detto “ad ufo”. Del resto, lo stesso Raffaello Sanzio abitò in Borgo Vecchio.
Borgo, Prati e Trionfale sono stati, dunque, territori abitati da un gran numero di lavoratori ed artigiani. Sorse, proprio nei pressi di Porta Cavalleggeri, agli inizi del ‘400, il primo nucleo di fornaciari, ossia lavoratori delle fornaci che fornivano i mattoni per la fabbrica di San Pietro e per i vari edifici da costruire nella città di Roma, attività che proseguirà fino a tutto il secolo XIX nella zona di Valle dell’Inferno (oggi Valle Aurelia) e zone limitrofe come via delle Fornaci, vicolo del Gelsomino, fino a piazzale degli Eroi.
Parlando con gli anziani del quartiere, memorie viventi del tempo trascorso, mi raccontano che i lavoratori delle fornaci erano gente semplice, passavano le loro giornate vicino al forte calore del forno in qualunque stagione, non solo d’inverno, ma anche durante la torrida estate. Di sera, li vedevi che tornavano nelle loro case, sparse nella campagna, dislocate nel Borghetto dei fornaciari fuori Porta Cavalleggeri ed in seguito in quello della Valle dell’Inferno, con le mogli, alcune delle quali anch’esse lavoratrici nelle fornaci, subito intente a preparare la cena circondate da nidiate di festanti bambini. Solo nei giorni di festa (ma forse, neppure in quelli) li potevi trovare lungo i prati per una piacevole e tranquilla domenica di meritato riposo.
Proseguendo la mia camminata, ora attraverso l’incrocio compreso tra la fine di viale delle Milizie e l’inizio di via della Giuliana e di via Andrea Doria, poco distante dalla zona che veniva adoperata per esercitazioni militari, denominata Piazza d’Armi, poi densamente urbanizzata, attraverso la vendita di diversi poderi e vigneti. Il primo a costruire fu il conte Eduardo Cahen che acquistò il terreno del monsignor Francesco Saverio De Merode su un’area in precedenza occupata dalla villa, con annessa vigna, della famiglia Altoviti, banchieri e mecenati fiorentini. Quest’ultimi avevano anche il loro palazzo sul lungotevere di fronte a Castel Sant’Angelo che andrà distrutto per la costruzione degli argini.
Nel 1882, i Prati furono inclusi nel nuovo piano regolatore e vennero espropriati alcuni terreni per la costruzione delle caserme, come è ben visibile da alcune fotografie scattate dall’alto in possesso degli archivi dei Fratelli Alinari. Nel 1900, entrarono in funzione i primi tram ed è datata 9 dicembre 1921 l’istituzione del Rione Prati da parte della Giunta comunale, ultimo dei rioni romani, il XXII.
Supero l’incrocio tra via della Giuliana e via Andrea Doria e, il mutato aspetto architettonico-urbanistico, mi fa comprendere come sia giunto nel quartiere Trionfale. Nessun edificio circostante, tranne qualche eccezione, supera probabilmente il secolo di vita. La tipologia delle abitazioni testimonia come la presenza massiccia dei fornaciari, non permise di aderire ad un progetto edilizio di media borghesia quale, ad esempio, quello ideato dalla Società Edilizia Monte Mario. Dagli anni ’20, si sviluppò, infatti, un’edilizia di massa con mercato all’aperto, uno tra i più antichi e noti della capitale ora in corso di ristrutturazione.
Ad edificare il quartiere contribuì l’Istituto Autonomo Case Popolari, il cui centro spirituale fu rappresentato dalla parrocchia S. Giuseppe al Trionfale, istituita nel 1912, che rimase per lungo tempo il solo edificio religioso della zona per i fedeli e punto di riferimento educativo-ricreativo per i giovani. Ciò è ancora oggi tanto vero che il mio primo figlio frequenta la Scuola d’Infanzia, così come fecero gran parte dei miei parenti delle passate quattro generazioni.
E’ solo nel 1941, infatti, che venne costruita e completata, dall’architetto Tullio De Rossi e dall’ingegner Franco Fornari, la nuova basilica santuario S. Maria delle Grazie al Trionfale, in fondo a via Candia, e ciò dopo aver demolito, tra il 1936 ed il 1939, la preesistente chiesa sita in Borgo. Una volta che S. Maria delle Grazie è stata elevata a parrocchia ha finito per togliere alla giurisdizione di S. Giuseppe al Trionfale una parte di territorio, ossia quella porzione che da via Leone IV giunge fino a via delle Medaglie d’Oro.
Nella stessa area, sorse, poco tempo prima, l’Ospedale Oftalmico, il quale venne edificato sulle antiche cave d’argilla del Monte Ciocci e sulle ceneri di alcune fornaci, demolite definitivamente, in quel tratto, per il passaggio della via Olimpica nel 1960. Dietro l’ospedale, celebre per la cura delle malattie degli occhi, prima della Seconda Guerra mondiale, vi era un dispensario di medicine per i poveri ed il deposito dei tram. Del 1949, è invece la fontana del Peschiera di piazzale degli Eroi, che venne inaugurata alla presenza del presidente della Repubblica dell’epoca, Luigi Einaudi.
Dal 1920 alla fine degli anni ‘40 fu, invece, costruita la maggior parte degli edifici dello stesso piazzale degli Eroi e del quartiere Trionfale, la Scuola Elementare “Giambattista Vico” con il complesso della Scuola Media “Luigi Rizzo”, completata nel 1938 e quasi tutte le altre abitazioni di via Andrea Doria, via Candia, compresa la Casa dei Bambini di via Ruggero di Lauria, progettata dall’architetto Sabatini negli anni ’20.
Ancora agli inizi del XX secolo, risalendo la via Trionfale e l’attuale via delle Medaglie d’Oro, si potevano incontrare accenni di campagna con vigne, ville e villini di proprietà di alcune grandi casate, si ricordano ad esempio quella dei Sinimberghi, Chinaglia, Giannini, Malvezzi, Tassoni, Baldoni, edifici come la Meridiana del Belsito, etc...; ma anche antiche Chiese come S. Maria Maddalena meglio nota come S. Lazzaro dei Lebbrosi, a motivo del piccolo borgo, sorto fin da epoca medievale intorno al 1271 e dove un pio francese accoglieva i malati di quel terribile male per dargli cura e, in caso di decesso, degna sepoltura in un annesso cimitero. A quel tempo, ci si poteva imbattere in casolari e locali, osterie come, ad esempio, l’ancora esistente Antico Falcone, e casali, come il Ciocci o meglio la Villa di Blosio Palladio che tuttora domina la Valle dell’Inferno.
Tra l’altro, sembra che il nome della “Valle dell’Inferno” sia da attribuire proprio al salire del fumo dai comignoli della varie fornaci. In realtà, secondo alcune interpretazioni, si tratterebbe di una storpiatura di “inverni”, parola latina che significa “inverno” e che si sarebbe trasformata poi in “inferno”. Altri propendono per attribuire la derivazione del nominativo dall’invasione dei Lanzichenecchi, che per quella valle passarono e misero a ferro e fuoco Roma nel 1527. Nel Medioevo, spesso il grosso avvallamento si definiva “locus inferus”; nel mondo classico, “inferus” si trasforma in “infernus” e quindi questa potrebbe essere la spiegazione più valida per l’origine del nome.
A partire dal ‘400, con la costruzione della fabbrica di San Pietro, le fornaci ebbero uno sviluppo intenso e sorsero a decine, addirittura a centinaia, su terreni che erano per lo più adibiti a scopi agricoli, fino ad occupare uno spazio vastissimo nell’area compresa tra il Gianicolo e il Colle Vaticano fino alle propaggini di Monte Mario.
Nel 1484, venne istituita l’Università dei Fornaciari che ebbe come santo protettore, S. Michele Arcangelo e nel 1552 venne edificata, in suo onore, la chiesa parrocchiale di S. Angelo al Torrione. Tale chiesa rimase attiva fino al 1828, quando Leone XII ne trasferì le funzioni nella vicina e più ampia S. Maria delle Grazie alle Fornaci, che era stata già elevata a parrocchia fin dal 1600.
Le fornaci esistevano già a partire dal I secolo d.C., al tempo degli antichi Romani ed ebbero uno sviluppo notevole dal ‘400 fino ai giorni nostri, ovvero fino all’ultimo esemplare ancora in piedi, la fornace Veschi, situata al civico 19 di via di Valle di Aurelia, che rimase attiva fino al 1961. Ad ogni modo, nei quartieri Aurelio e Trionfale esistevano altri importanti stabilimenti per la fabbricazione dei laterizi, che ancora oggi sono vivi nella memoria degli anziani del luogo, come le fornaci “Mallozzi Vittorio” ed “Angelo Marini” in via di Valle Aurelia, in via della Cava Aurelia, la “Industrie e Lavorazioni” ed infine, in via del Gelsomino, la “Società romana Fornaci”. Mentre, al Trionfale ricordiamo ancora la “FRU” e la “Enrico Bonomi” site in via Angelo Emo, e da ultimo, altri fornaciari si dirigevano nei pressi di piazzale degli Eroi, per lavorare negli stabilimenti “Bellagamba” e “Laterizi Genovesi”.
Tra le tradizioni più popolari del quartiere Trionfale, merita di essere menzionata l’antica consuetudine della “frittellata” in onore del patrono, San Giuseppe, che cade il 19 marzo di ogni anno. Fin dalla sera prima, si respira già aria di primavera, così come l’odore dei fiori e dei pollini, ma anche delle frittelle, preparate con amore da semplici appassionate ed appassionati e servite ai tanti che vengono da ogni parte delle città.
Ora sono nei pressi della mia abitazione ed il percorso storico è giunto al termine. Avrò fatto qualche chilometro a piedi, ma ho attraversato con il pensiero secoli di storia!

dott. Emanuele Mariani

2 commenti:

  1. l'articolo, assai pregevole,suscita interesse e desideri di approfondimenti.Ad esempio mi piacerebbe sapere se il lazzaretto sorto in epoca medievale ha qualche riferimento nella costruzione caratterizzata da lunghe balconate a ringhiera situata tra l'attuale via trionfale e il suo tratto antico prospicente Santa Maria dei Lebrosi

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  2. Risposta dell’autore dell’articolo Dott. Emanuele Mariani:

    Il Borghetto San Lazzaro è un nucleo di case sorto tra il 1000 ed il 1100, che venne così chiamato allorquando si intitolò la Chiesa, annessa al Borgo, a San Lazzaro, resuscitato da Gesù.
    In origine, la stessa Chiesa era intitolata a Santa Maria Maddalena, sorella di San Lazzaro e protettrice in Francia dei lebbrosi.
    La Chiesa (XI secolo) è tuttora esistente ed è stata oggetto di recenti restauri.
    Nel 1480, per i malati di lebbra, venne edificato, sul lato destro della Chiesa, un ospedale e fu proprio l’annessione della Chiesa all’ospedale (1517) che produsse il cambiamento della sua intitolazione.
    L’edificio, migliorato a cura di Paolo V, era munito di comode corsie e di una loggia che dava su vasto cortile ed aveva anche uno scalone esterno. Purtroppo, l’ospedale (già lebbrosario-lazzaretto) è del tutto sparito a causa di un violento temporale nel 1937 che lo fece crollare, ma già da due secoli aveva smesso di funzionare.
    Prima della rettifica ottocentesca del tratto attuale della Via Trionfale, la strada attraversava il Borgo e, passando per i Casali Strozzi (oggi incastonati tra la panoramica e Piazzale Clodio), proseguiva inerpicandosi in salita. Del Borgo, oggi rimangono alcune case risalenti al tempo della nuova Trionfale, ma del vecchio Lazzaretto non rimangono tracce.

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